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Perché ho lasciato Google

Oggi voglio raccontarvi una storia. Una di quelle che ho tenuto dentro per un po’ di tempo e che merita di essere condivisa. Una storia fatta di aspettative forti, cambiamenti che coincidono con spostamenti, una storia emozionante dove alla gioia segue il pianto e il senso di attaccamento alla famiglia, alle amicizie, così come ai giudizi degli altri.

Mi trovavo in Polonia ed era il 2014. Sono partita da sola, ad aprile, per iniziare un nuovo lavoro in una delle aziende più appetibili e desiderabili da un giovane laureato, Google. Tutto ha inizio con un CV mandato da me medesima all’HR tramite il sito Google careers. Avevo trovato la posizione perfetta, “Adwords community manager” per il mercato Italia. Il mio sogno, il sogno della vita, un sogno comune a tanti ragazzi e ragazze una volta finiti gli studi. E io avevo realizzato il mio.

Ho fatto il processo di selezione, step by step, da sola. Ricevetti la prima mail dall’HR di Dublino, e dopo un paio di colloqui telefonici ero a Wroclaw, Breslavia. La posizione era lì, ed è lì che mi sarei trasferita. Quello fu uno dei periodi più felici, il periodo precedente al mio ingresso in Google. Era come se avessi raggiunto l’apice di quello che per me era il successo, a quei tempi. Mi trovavo in una bolla, con una sensazione di potenza elevata al quadrato. Mi sentivo invincibile e così fu per un po’. Quando mi comunicarono l’esito positivo dell’ultimo colloquio piansi di gioia. Feci le valigie verso una nuova vita.

In Polonia sono rimasta per 1 anno o poco più. A maggio del 2015 ero in Italia, in un’altra azienda, a Torino. A questo punto della storia vi chiederete: cos’è successo in quell’anno? Nel periodo che va da aprile 2014 a maggio 2015, cosa ha fatto sì che io rifacessi le valigie per rientrare? Potrei raccontarvi molte cose, ma voglio lasciarvi quelle più importanti e non rischiare di perdermi in particolari autoreferenziali. Parlare troppo di me non è una cosa che mi piace fare e ogni volta che racconto qualcosa cerco chi chiedermi: in che modo può essere utile agli altri?

Questa è una storia che parla di cambiamento, principalmente. A volte non sappiamo quello che vogliamo veramente finché non ci troviamo in quella situazione e la viviamo. A quei tempi volevo ottenere il meglio per me. Entrare in una multinazionale, andare a lavorare all’estero e avere un contratto indeterminato erano valori e credenze estremamente radicate in me. Immaginate una che nasce in Sicilia, poi a 19 anni lascia casa, va a studiare a Bologna, con tutto quello che ne comporta, con tutti i sacrifici fatti nella speranza di arrivare a trovare un posto nel mondo. Un posto sicuro, che avrebbe messo fine a una vita fatta di studio, lavoro, rinunce, notti insonni e ansia per le spese. Arrivare ad avere quel posto in quell’azienda lì significava essere arrivata, punto.

Durante quell’anno sono successe tante cose che mi hanno portato a capire di me tante, ma tante cose. Partiamo dal successo, quello che io pensavo di aver raggiunto una volta lì. Quello che ho capito è che il successo è paragonabile a un battito d’ali di una farfalla bellissima e rara. Dura un nano secondo, poi svanisce. E poi, cosa resta? Il vuoto, il nulla. Un nulla enorme, da colmare. Un precipizio, un fondo nero che va riempito. Come? Trovarmi di fronte a quella sensazione non è stato facile. E ora come riempio questo vuoto? Ho vissuto un anno di conflitti interiori e conflitti con gli altri. Ci ho messo un po’ di tempo a prendere coscienza del mio stato emotivo, principalmente non ero felice e ogni giorno mi scontravo con questa tristezza che pian piano ha iniziato a riempire questo vuoto. Ho iniziato a parlarne. Con la famiglia, con gli amici lontani, con i pochi amici vicini che a fatica mi ero fatta, ma non è servito a nulla, anzi ha peggiorato le cose. Alcune parole le ricordo ancora. Mi dicevano sempre “Datti tempo e ti abituerai. Tutta questione di abitudine, tu hai sempre fretta.”; oppure “gli altri al tuo posto pagherebbero per trovarsi lì. Non sei mai contenta“; “Se vai via io ti prenderò per pazza, tutti ti prenderanno per pazza”. E ancora “Non è il posto in cui decidiamo di vivere a determinare la felicità“. Queste le risposte che mi davano quando dicevo che non stavo bene, che non era il posto per me e che avrei dovuto andar via.

Durante quell’anno mi sono avvicinata a molte persone. Ho riscoperto gli amici, i veri amici, quelli che ancora dopo quasi 6 anni mi ritrovo vicini, quelli dai quali niente e nessuno potrà separarci. Ma la scoperta migliore che ho fatto è essermi resa conto che la realtà è sempre ben distante dalle aspettative e che è veramente importante prendersi tutto il tempo per conoscerci e capire chi si è, cosa si vuole e cosa è importante.

Il successo che attribuivo alla “carriera”, comunemente intesa come “escalation” sociale nel mondo aziendale ed entrata in scena nelle multinazionali, non era per me un valore importante. Era un valore basato sulla paura. Avevo bisogno che gli altri riconoscessero me, avevo bisogno di trovare un dato oggettivo che fosse oggettivamente preso dagli altri come misura del mio successo. E, insieme, mi ero nutrita di tutto il carico di aspettative che le persone avevano su di me, lasciando che fossero queste a guidarmi. Per un attimo avevo perso me stessa. Il freddo e la solitudine polacchi bastavano a farmelo ricordare ogni giorno.

Poi ho deciso di tornare, andando contro tutti e tutti. Stavo davvero molto male, ma quello era un posto che non mi faceva felice. Voi vi chiederete: ma sei stata in Google, chissà quante cose hai imparato! Sì, rispondo io. Ho imparato molte cose. Ho appreso molte cose dal punto di vista lavorativo, cose preziose che tutt’ora sono importanti. Ho scritto un libro nel 2015 e lo devo a questa esperienza. Ma non è questa la cosa più importante che ho imparato.

Quello che ho imparato a è accettare il cambiamento come componente della vita stessa. Il cambiamento è stato la costante nella mia vita, e ancor prima di allora, mi ha sempre portato dove volevo. Scegliere di partire, lasciare tutto e vivere in un altro Stato, significava anche scegliere di tornare e iniziare un nuovo percorso. Pensavo fosse un fallimento aver lasciato Google, invece è stata la mia forza, e questo mi rende orgogliosa. Esser stata capace di non ascoltare più nessuno a un certo punto, di seguire la mia strada e basta perché quello che volevo era essere felice, è stata la cosa più difficile ma anche la liberazione più grande.

Il cambiamento, quando viene a bussare alle nostre porte, arriva sempre per un motivo e il motivo è che abbiamo il costante bisogno di avvicinarci a ciò che vogliamo per noi stessi. Ciò che desideriamo corrisponde a chi veramente siamo. Il lavoro è un aspetto della vita. Sicuramente è importante ma non è il solo importante. Per me era fondamentale avere un bilanciamento tra aspetti diversi della mia vita, e soprattutto smettere di essere in competizione con me stessa.

Ora sono una persona più cosciente, e ho smesso di inseguire quell’idea che avevo di successo. Per me oggi avere successo vuol dire essere felice ed essere presente, nelle mie giornate. Decidere chi voglio essere grazie all’ascolto di me, alle relazioni con gli altri che nella mia vita occupano un posto importantissimo. Alle rinunce che non ho più deciso di fare perché da oggi in poi quello che scelgo per me è quello che voglio fare, quindi perché dover rinunciare a qualcosa?

Questa è la mia storia, una di quelle che ho tirato fuori dal cassetto dove ne vivono tante altre che un giorno spero di raccontarvi. La mia storia vuole essere un invito e un incoraggiamento a chi sta combattendo una battaglia con se stesso a non mollare la presa e, allo stesso tempo, a lasciar andare molte cose. Voi siete le uniche persone in grado di capire ciò che è giusto per voi stessi e in grado di definire la vostra strada. Prendere decisioni non è mai facile, ma ciò che fa la differenza tra chi sta troppo tempo a pensare e chi vive di sole emozioni reagendo alle situazioni, è chi decide di passare all’azione.

Fate, disfate, muovetevi e non state mai fermi quando sentite che è il momento di far qualcosa. Fatelo, e vi troverete sempre nel posto giusto.

Vi prenderanno per pazzi? Bukowski diceva “Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre.” (Da usare come risposta, all’occasione).

 

 

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