L’abisso. E la paura. Di perdere il respiro perché è dura la salita. Di non farcela. Paura di morire.
Chi non ha conosciuto tutto questo? Nella vita personale e professionale succede. Qualche volta, spesso, almeno una volta. Succede e basta. Solo che delle cadute, delle sconfitte, delle ferite, non se ne parla mai o quasi. Al contrario, si parla sempre dei successi, di traguardi raggiunti, di sfide colte con entusiasmo e obiettivi centrati, di risultati ottenuti sudando. Siamo invasi da storie di successo e non vediamo l’ora di condividere con gli altri le storie, vere o meno, che riguardano i nostri successi.
Se provate a scrivere su Google “Persone di successo” il motore di ricerca vi restituirà una lista di numeri. Dieci cose che fanno le persone di successo, Gli 8 tratti delle persone di successo, i 14 segreti delle persone di successo, 10 abitudini virtuose delle persone di successo (solo per citare alcuni dei titoli che ho trovato). Da un lato mi chiedo: sarà vero che esiste un manuale per diventare persone di successo? Chi è stata la prima persona di successo da ergersi a un prototipo-guida delle future generazioni di persone di successo? Forse a scuola insegnano a diventare una persona di successo?
Io non credo. Quel che credo è che esiste a livello generale la tendenza a voler diventare persone di successo senza averne chiaro il significato, per se stessi. Personalmente ho sempre rifuggito da tutti gli stereotipi sociali che vogliono etichettare l’essere umano come buono/cattivo, bello/brutto, ricco/povero. Le categorizzazioni creano gabbie mentali dalle quali è difficile uscirne. E purtroppo nel mondo del lavoro ne esistono tante di gabbie…
Siamo tutti concordi che lo stereotipo dell’uomo di successo a lavoro è il classico business man che ha fatto la scalata sociale in azienda, che da una piccola è passato a una più grande e poi a una più grande e poi è diventato manager, dirigente, CEO. Ecco, questo è l’uomo di successo a cui mediamente aspirano tutti gli sbarbatelli appena entrati in azienda che emulano i loro capi, che sono simpatici con tutti ma amici di nessuno, che sono più interessati al proprio EGO piuttosto che alla collettività e potrei continuare. Di persone così ne ho conosciute tante, troppe. C’è gente che non riuscirebbe a vivere fuori da una multinazionale. Probabilmente perché ha una triste vita fuori da queste, e mi spiace. Ho conosciuto anche belle persone, che con umiltà e coraggio si sono distinte e hanno lasciato una bella impronta del loro passaggio.
Ma perché dico questo? Io non credo che il successo di per sé sia un concetto sbagliato. Per me il successo non è un concetto universale, ma personale. Non è la punta dell’icerberg, è il cuore. Non è lo scopo finale della vita, è un modus vivendi. Bisognerebbe educare all’unicità in quanto essere umani unici che devono scoprirsi, col tempo. Che devono capire con i loro desideri e le loro azioni cosa possono fare, cosa gli piace fare e cosa li gratifica. La gratificazione è forse la cosa più importante.
E soprattutto bisogna educare al fallimento. Il fallimento, piccolo o grande che sia, fa parte delle storie di successo. Spesso le precede, altre volte le accompagna. Fallire è necessario, siamo umani. Ma perché nessuno parla dei fallimenti? Forse perché sono cose troppo personali che non interessano a nessuno? Invece secondo me sarebbe tutto più bello e il web un posto migliore se iniziassimo a condividere i nostri fallimenti. Io ne ho fatti tanti. Qualcuno non li chiama fallimenti, ma momenti di crescita necessari alla scoperta di sé. A me piace la parola fallimento. E’ così umana e vera. In una società falsata, poter dire di aver fallito è un grande atto di coraggio. Ammettere un fallimento è un atto di coraggio. Rialzarsi da un fallimento è un atto necessario e conseguente.
Non abbattetevi, prendetevi i rischi, fallite e risollevatevi.
Dall’abisso ci siamo passati in tanti, le salite ce le siamo conquistate. Altre volte cadremo ma l’esperienza insegna che saremo diventati più forti di prima.
Ho sbagliato più di novemila tiri nella mia carriera. Ho perduto circa 300 partite. Ho avuto la possibilità di fare il tiro della vittoria per ventisei volte e non ci sono riuscito. Ho costantemente sbagliato nella mia vita. È questo il motivo per cui ho trionfato.
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